Il 31 dicembre 1995 entrò in vigore la cosiddetta riforma Dini, un banchiere in prestito alla politica, che impose, alle prossime generazioni, una riforma …dolce delle pensioni, ovvero i pensionati riceveranno quanto versato nella vita lavorativa, divisa negli anni che li attendono, calcolo medio della speranza di vita, prima della morte.
In pratica si ridanno i soldi spesi in contributi pensionistici, tolti dagli stipendi, rivalutati dall’inflazione, secondo i dati Istat, non un centesimo in più o uno in meno: tutto dipende da quando uno va in pensione, più tardi va e più riceve, perché ha meno anni da campare.
Sono pochi e vicino alla pensione, con i requisiti della legge Fornero, quelli che hanno diritto al sistema pensionistico retributivo, che calcola la media degli stipendi degli ultimi 5 anni e dà una pensione adeguata, quasi simile all’ultimo stipendio: sono coloro che hanno iniziato a lavorare nel lontano 1977 o prima, senza interruzioni e avevano i 18 anni di contributi il 31 dicembre 1995.
Tutti gli altri sono nella fascia contributiva, ovvero prendono quanto pagano, tranne per quegli anni che entrano ancora, in percentuale minore, nel retributivo: questo peserà dal 40% sulla pensione finale, sino a scomparire per chi è stato assunto dopo il 31 dicembre 1995.
In pratica tutto questo rumore, sulla quota 100, è una grande farsa, per giocare sporco, anche per motivi speculativi: lo Stato, alla fine darà esattamente, guadagnandoci di fatto sugli interessi non pagati, i soldi che riceve dai lavoratori, non un centesimo in più.
Il problema del debito pubblico invece è differente, ovvero abbiamo la corruzione e tanti sprechi, perché nelle amministrazioni pubbliche abbiamo troppi incapaci e persone negate all’uso dell’informatica per esempio, specialmente tra i vertici.
E’ lì che si deve tagliare e risparmiare, ma i nostri pennivendoli non lo sanno, spesso pure loro sono negati con l’informatica e con Internet in particolare.