Si parla sempre della decadenza del nostro apparato produttivo, della nostra industria, insidiata dalle economie emergenti.
Si dà colpa al cambio Lira Euro, stabilito a un valore troppo alto, sfavorevole, a 1936,27 lire per Euro.
Sicuramente questa scelta non ha favorito l'industria italiana, abituata a vendere a basso prezzo, sui mercati internazionali: si è giustificato questa situazione con il bisogno di far sviluppare le produzioni più evolute e complesse.
Se fosse vero la crisi, la scarsa produzione di ricchezza del Paese,
dovrebbe durare pochi anni, poi ci sarà uno sviluppo forte e sicuro, con un avvenire economico splendido.
Invece si sente, dalle solite Cassandre, che questo è solo l'inizio della fine, del declassamento inesorabile dell'Italia, dell'Europa.
Invece questa è un'occasione per rimodernare e rimettere a nuovo il sistema Italia: buttare nella spazzatura della storia il vecchio è una
necessità.
Cosa è così vecchio nel Bel Paese che ci ostacola?
Da noi non conta ciò che sai fare, ma chi sei, a quale gruppo sociale, sindacale, famigliare appartieni.
Non è tutto così, per fortuna, ma certe realtà rimangono chiuse alla meritocrazia, quella vera, l'unica che conta nel nostro mondo reale, crudele, feroce, quella che il mercato impone.
Non è una questione di preferenze ideologiche, vana sino ad oggi è stata la lotta contro questa legge brutale: forse si possono limitare i danni, ma il mercato e la sua selezione si impongono sempre.
Io appartengo a quella generazione che ha sognato per anni di eliminarlo, ma è stato tutto vano.
L'intelligenza consiglia allora che la selezione per il valore, per le capacità valgano per tutti: basta con le nicchie protette.