24 ago 2012

Calcio e violenza che ogni tanto ritorna e tornerà


La violenza negli stadi è provocata da una gioventù emarginata, che è sempre pronta a odiare: è spesso ai margini della società e si scaglia contro la polizia, i carabinieri.
Questi ragazzi, al limite dell'emarginazione talvolta, ma sempre abituati ad esperienze estreme, si ribellano senza sapere contro chi e per quale motivo lo fa.
Le analisi ci sono e le giustificazioni sono pronte, come le condanne inderogabili, "indiscutibili".
Se dei poco più che ragazzini, minorenni o appena diciottenni, si dedicano a vandalismo, ad aggressioni pure ed insensate, qualche motivo c'è.
Cosa rappresentano per loro le forze dell'Ordine?
Il potere che gli ha esclusi, lontano e incomprensibile: è per loro il continuo dei metodi di insegnanti malpagati, scocciati, con i loro concetti e i loro pregiudizi.
Questi "monelli" sono stati esclusi da una vita "splendida", quella dei colletti bianchi, del mondo del successo.
Dietro a un violento c'è una delusione, un'esclusione, forse per colpa sua: certamente è stato "buttato fuori" da una realtà, considerata per vincenti.
Infondo dietro a tutto questo c'è il discorso solito e infantile: "Se non posso avere il giocattolo lo spezzo."
I teppisti distruggono ciò che li circonda perché non possono avere, o appartenere ai ceti "giusti": forse qualcuno dovrebbe far loro vedere il mondo sotto un'altra luce.
Pure i "vincenti" non sono poi così "fortunati" come si crede.