Si parla sempre della Cina come la causa principale dei nostri problemi economici: pare che, oltre la Grande Muraglia, ci si impegni il più possibile per danneggiarci economicamente.
Gli economisti, gli esperti, spesso legati a questo o a quel Governo, fanno risalire tutte le nostre difficoltà alla mancanza di regole nel Paese di Confucio: si suggerisce, più o meno sottilmente, che dovremmo imitare gli scaltri, esosi, avversari dagli occhi a mandorla, tornando a condizioni di lavoro da inizio Novecento, se non peggiori.
Sinceramente ho qualche dubbio: i sistemi economici si confrontano complessivamente.
Un lavoratore stanco, che si ammala e non ha prospettive di miglioramento, ridotto ad una schiavitù reale, la cui unica soddisfazione sia quella di riempirsi lo stomaco, per di più a malapena, non sarà mai un buon collaboratore, produttivo e motivato.
Un Paese inquinato, da far ammalare tutti e rendere difficile pure respirare, alla fine avrà più costi che vantaggi: non è nel tornare ad un passato senza leggi che sta la salvezza.
Forse è da rivedere il sistema Italia, nella sua complessità: la pubblica amministrazione deve essere più efficiente, gli investitori devono essere più lungimiranti, i politici pensare, programmare, ragionare in termini di mesi, di anni e non più in settimane.
Probabilmente la Cina ha poco a che fare con la nostra stagnazione economica: è una questione strutturale.
Bisogna rivedere il sistema Paese nella sua organizzazione, nel modo di amministrare, ma specialmente nel modo di pensare: dovremmo imparare anche noi che non è importante che il gatto sia bianco o nero, ma che sappia acchiappare i topi.